Roberto De Zerbi è stato ospite dell’ultima puntata di Nero&Verde, dove ha parlato molto di sé e del suo modo di intendere il calcio.
Il mister parte dal metodo: “Nella mia metodologia di lavoro è importante il video. Non ne abuso ma è importante. Il mio tarlo come allenatore è sempre stato di far capire la mia idea ai giocatori. Col video questo arriva prima. Ma anche il modo in cui parli e lo prospetti è importante. Poi serve la pratica per renderlo concreto”.
Poi della sua storia, e soprattutto dell’esperienza neroverde: “Sul mio telefonino conservo le immagini di tutte le squadre che ho allenato, sin dal Darfo, dal Foggia, dal Benevento. E dal Sassuolo. Del Sassuolo tirerei fuori due immagini. Una è l’azione che porta al rigore con l’Inter il primo anno, alla prima partita. Un’azione strepitosa di Bourabia, Rogerio, Boateng e Ferrari. La seconda è quella che sul 3-3 con la Juve portiamo Traorè a tu per tu con Szczesny. Un’azione di tanti passaggi, che rispecchia il mio calcio: alternanza di velocità e di manovra. Se trovi il muro davanti non devi andare a sbattere, devi giocare orizzontale. Bisogna tornare indietro per superare gli ostacoli, per verticalizzare improvvisamente. Se si frequentavano gli oratori vent’anni fa, si vedevano uno-due e triangolazioni a migliaia: qui lo fanno giocatori di qualità. Poi ci hanno segnato gli ultimi 13 minuti di Torino o il boato del Dall’Ara quando Destro ci segnò di testa dopo alcuni nostri errori. I ragazzi, Rogerio e Lirola, erano ventenni. Spiegai loro che certe volte non voler prendere gol va anche oltre le qualità. In quel momento non eravamo attaccati al risultato come per esempio abbiamo fatto a Benevento. Lì si è percepito che non volevamo prendere gol”.
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Un riferimento particolare a un suo giocatore: “La crescita di Rogerio passa da quei momenti lì. È un giocatore bravo tecnicamente da prima di Sassuolo, ma la sua maturazione si è vista. Anche a Benevento si è visto, ha evitato il gol, costi quel che costi”.
Ma il mister parla anche dei momenti negativi: “Contro il Torino ho perso le staffe, per me non esisteva più un domani. Si può perdere 3-2 dopo essere in vantaggio per 2-0 ma il modo quella volta mi ha fatto perdere la testa. Anche l’ultima in casa col Milan, quando abbiamo preso gol dopo 6 secondi. Quella è una cosa che mi ha segnato, mi è rimasta impressa nel cervello e nel cuore più di quando abbiamo fatto grandi partite”.
Poi indica i momenti belli: “Sono stato felice nel 2-2 a Torino con la Juve, o in trasferta nei campi dov’era tutto scontato: Frosinone, Crotone, Brescia l’anno scorso. O il 4-3 col Bologna, dove però ci svegliammo troppo tardi. A volte anche certe sconfitte mi hanno reso contento, perché magari i ragazzi avevano dato tutto nella maniera giusta. Chiedo sempre ai miei di andare oltre. A volte mi dispiace perché penso che loro non si sentano apprezzati. Ma mi hanno dato una marea di soddisfazioni. Quando proviamo delle cose e poi le vediamo in campo: questa è la magia dell’allenatore, guidare un gruppo di persone rispettando le qualità dei ragazzi ma cercando di dare una lingua comune. Quando loro ripropongono tutto questo è sempre motivo d’orgoglio”.
Un altro giocatore importante è il Capitano: “Quasi tutti i giocatori mi hanno insegnato qualcosa, non solo in campo. Magnanelli è un maestro vivente sull’aspetto dell’automotivazione. Sta sempre nello stesso ambiente, ha giocato 500 partite, ha dimostrato tutto quello che doveva dimostrato, ma viene sempre al campo motivato e si gioca la partita con la poesia, come se fosse l’ultima”.
Lo stile De Zerbi è molto imitato: “Non so se mi copiano. Questo lo devono dire gli addetti ai lavori. Tanti allenatori studiano gli altri. Anche io lo faccio, anche al di fuori di questo campionato. Ho preso spunti dagli altri. Ma non copio perché mi piace essere autentico. Copiare vuol dire anche non sapere fino in fondo ciò che si spiega ai ragazzi, perché il pensiero non viene da te, non conosci così efficacemente l’idea”.
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Poi torna su una sua celebre affermazione: “’Se proprio devo affogare preferisco farlo nell’oceano e non nella vasca da bagno’: è una frase che mi rappresenta al 100%, un mio cavallo di battaglia. Significa voler essere protagonista sempre anche se sulla carta non ci sono i presupposti per esserlo. Andare oltre le aspettative, scrivere qualcosa di importante per tutti. È sempre stato il mio cavallo di battaglia. Voglio stare nel calcio, ma mi interessa starci a mio modo. In qualsiasi partita, in qualsiasi categoria. Bisogna sapere che avremmo sempre potuto fare di più, che non dobbiamo accontentarci. Era anche la filosofia di Squinzi, che ha avuto la visione di prendere il Sassuolo in C2 e portarlo in serie A fino a vincere a San Siro”.
Infine qualche parola sulla realtà di Sassuolo: “Se dovessi spiegare a un extraterrestre cos’è il Sassuolo, innanzitutto non ridurrei la cosa solo al calcio. Questa è una società particolare. Non è un posto facilissimo come adattamento. Ci sono elementi che non trovi da nessun’altra parte. Bisogna capire questo contesto e da squadra e società più piccola cerchi di sgomitare tra i colossi calcistici. Il Sassuolo ha un’identità forte. Sa chi è, cosa vuole e qual è la sua strada. Da altre parte ci sono altre cose, ma magari non hanno queste idee e questa consapevolezza, al di là dell’aspetto economico. I soldi sono importanti, ma le idee sorpassano i soldi”.