In una lunga intervista rilasciata alla rivista Il Calciatore (mensile di Assocalciatori), l’attaccante neroverde Antonio Floro Flores ripercorre la sua lunga carriera, tra dolori e momenti di gioia: un viaggio che parte dalla sua Napoli, in particolare dal Rione Traiano (dove abitava il nonno), fino ad arrivare in Emilia, al Sassuolo.
Della vita privata di Antonio si conosce davvero poco: lui stesso ammette di non amare le interviste e di parlare poco, specialmente della sua vita privata. In questi giorni tutti i giornali, sportivi e non, hanno riportato solo un piccolissimo estratto di questa bella intervista, una frase su 5 pagine di racconto, quella dell’allenatore pedofilo. ”Notizia Shock”, “Il Trauma di Floro Flores”: questi i titoli degli articoli che hanno ripreso la notizia, perdendo così l’occasione di raccontare una bella storia di un sogno, tra cadute e risalite. Noi di Canale Sassuolo l’abbiamo letta tutta e ci è servita a conoscere meglio uno dei nostri calciatori che abbiamo sempre apprezzato. Abbiamo deciso di riproporvela.
L’infanzia e i primi calci ad un pallone. “Giocavo per strada, con i miei compagni, giusto per il gusto di divertirmi, non sapevo nulla e nemmeno mi importava delle scuole-calcio, ero un ragazzino un po’ ribelle e l’idea di essere vincolato ad un allenatore e a degli orari mi dava fastidio. Nella prima scuola calcio ci sono entrato verso i 10/11 anni, si chiamava Atletico Toledo. Era un brutto periodo per la mia famiglia, mio padre lavorava in una conceria di pelli e mia madre faceva la parrucchiera; la ditta dove lavorava mio padre stava per fallire e il denaro necessario per iscrivermi alla scuola calcio era troppo ma la società, dopo avermi visto giocare, disse che potevo continuare senza problemi. Quello che ho vissuto da piccolo mi è servito per la fame e la voglia che ho sentito crescere dentro”.
Il nome Antonio Floro Flores cominciava a girare. “Dopo l’esperienza nella scuola-calcio tornai a giocare per strada e saltò fuori che l’allenatore era un pedofilo. Ma il mio era un nome che già circolava e da lì a poco mi chiamò il Posillipo. Mio padre non aveva sempre il tempo per seguirmi, ma ricordo che veniva a vedere le partite, arrivava al campo e mi faceva un fischio: era il nostro rito. I miei facevano fatica anche a comprarmi gli scarpini, io andavo a chiedere a mio nonno che è sempre stato il mio punto di riferimento”.
Le faremo sapere. “Nei quattro anni col Posillipo non so quanti provini ho fatto. Davo sempre il massimo, segnavo gol su gol, ma i miei compagni andavano a giocare in giro ed io restavo sempre là. In quel periodo avevo una gran voglia di giocare, sembrava sempre che fosse il mio primo allenamento.
Svegliati, è un sogno. “Col Posillipo andammo a giocare a Venezia, vincemmo 4-0, segnai una doppietta e tornai a casa strafelice. Mi chiamarono quelli del Posillipo dicendomi: preparati che devi andare a Venezia. il Venezia era in Serie A, il mio sogno da bambino era quello e l’opportunità sembrava finalmente arrivata. Avevo voglia di andare, non pensavo alla squadra in sé, ma alla maglia con le scritte, gli sponsor, la possibilità di giocare con ragazzi scelti. Ma la telefonata non arrivò, fu una grande delusione e pensai di chiuderla lì, di dire stop”.
I sogni sono di colore azzurro. “Avevo deciso di smettere, il mio procuratore volevo propormi un altro provino, ma gli dissi di lasciare perdere, avevo girato dappertutto, dimostrato il mio valore a suon di gol, ma non era servito a nulla. Ma poi un giorno mi dice: vuoi provare col Napoli? Ero fermo da qualche mese, non ci credevo. Fu lì che ho capito il motivo per il quale gli altri andavano via e io no, erano le cifre che chiedevano per il mio cartellino. Mi allenai con il Napoli per un mese e mezzo, il mister era Caffarelli, ma ancora non mi tesseravano.Iil motivo? Qualcuno diceva che con quel fisico non sarei mai stato un calciatore, fu Caffarelli ad insistere. Mi tesserarono, ero un giocatore del Napoli. Mi diedero tute e felpe, ci andavo in giro, pure ci dormivo, già essere nelle giovanili del Napoli mi pareva un sogno!”.
Prendi la strada giusta. “Esisteva solo il calcio, vedevo la scuola come un ostacolo. Sono arrivato alla terza media e ricordo la volta in cui un professore voleva parlare con mio padre, avevo paura perché sapevo che le avrei prese poi a casa. Il prof gli racconta che non sa che fare con me, che penso solo al calcio, che ci giocavo anche in classe con delle palline di carta. Suggerisce a mio padre che forse l’unico modo per farmi prendere sul serio la scuola era quello di vietarmi il calcio. Le parole di mio padre furono: ma come, l’unica cosa che sa fare gliela devo togliere? Con quali alternative? Morire ammazzato o andare in galera? Adesso mi viene da sorridere, ma la mia vita sarebbe cambiata: la periferia di Napoli non era facile.
E poi, secondo loro, non potevo più giocare. “Nel periodo in cui ero nelle giovanili del Napoli, c’è stato un momento in cui pareva che non potessi più giocare, la causa era legata ad una allergia o ad una possibile malattia rara. Non so altro, non sono mai andato a vedere bene cos’era. Dovevo poi fare una piccola operazione (mi era salito un testicolo) e gli esami andarono bene: ero a posto e potevo continuare a giocare. Ricordo i santini sotto al cuscino e le lacrime del mio procuratore e degli amici. Dirò sempre grazie ai miei mister per come mi hanno trattato, ma la società non si comportò bene, arrivando ad accusare il mio procuratore d’aver fatto loro un “pacco”. Sarei potuto andare al Parma, lo venni a sapere dopo, al mio procuratore dissi che per me il Napoli era tutto, ci avevano dato un tesserino con il quale andavo in curva a vedere le partite, dove guardo sempre quando mi capita di tornare in quello stadio come giocatore”.
Non svegliatemi da questo incubo. “Sono cresciuto nel Napoli peggiore della storia, adesso le cose stanno diversamente. Da ragazzino andavo al Centro Paradiso dove si allenavano, per vedere i giocatori, rubare un pallone e sperare in una maglia. Vivevo e respiravo il Napoli. A suon di gol sono passato dagli Allievi Regionali ai Nazionali, e poi… per la preparazione mi hanno chiamato in prima squadra, l’allenatore era Zeman, pesavo 66 chili, ho finito oltre i 70, ricordo quei gradoni che facevo portando sulle spalle Stellone. Se dovessi ringraziare una persona, penso a Zeman, tutta la vita. La voce corse per il quartiere, ci tornai da eroe: sono una persona umile, ma viaggiavo a 3 metri sopra il cielo e mi sentivo arrivato prima ancora di cominciare. Feci il debutto in Serie A ma fu un anno complicato: via Zeman, la dolorosa retrocessione del mio Napoli ed infine il fallimento”.
La mia gente non capiva. “Sono andato alla Sampdoria, mi hanno trattato come l’ultimo essere umano, poi il ritorno al Napoli di Gaucci, mi aveva promesso che sarei stato il nuovo capitano del Napoli, non dormivo la notte. Poi arrivarono De Laurentis e Marino, aspettai una chiamata fino al 9 di Settembre, poi firmai con il Perugia. Uscì la voce che non avevo voluto sposare il progetto per non perdere la Nazionale U21, ricordo che a Napoli in quei giorni ricevetti insulti per strada, mi segnarono la macchina e venivo mandato fuori dai ristoranti. Ero passato per quello che aveva tradito, ma non era così. Oggi li ho perdonati e loro hanno perdonato me.
Perugia, gioie e dolori. “Subito uno strappo muscolare, avevo 19 anni e tutte queste pressioni non riuscivo a reggerle, dicevano che il problema era nella testa e non nei muscoli. Lo stress era elevato, ma mi sono rimesso in piedi e con la squadra abbiamo raggiunto i play-off perdendo poi con il Torino. Il Perugia era un gruppo eccezionale e anche se per sette mesi non abbiamo preso lo stipendio è stato comunque un periodo di crescita e di maturazione. Li ho conosciuto Eusebio Di Francesco.
Finalmente la felicità. “Dopo Perugia, sono andato all’Arezzo, e poi all’Udinese. C’erano Di Natale e Sanchez e, nonostante le promesse, io giocavo sempre poco. Poi sono andato al Genoa ed è stato l’anno più bello della mia carriera, 10 gol in 18 partite, non volevo più tornare ad Udine, venivo da un campionato super. Poi le tante promesse mi convinsero a tornare ma giocai solo 10 partite, che delusione.
No hablo español. “Sono scappato in Spagna, a Granada. Scelta sbagliata, ci stavo male e volevo tornare in Italia, chiamai Pozzo e mi sfogai: o mi mandate via da qui o smetto di giocare, e non voglio più stare con l’Udinese. Una telefonata che mi sono pentito di avere fatto, con lui ho sbagliato. I Pozzo sono tra le persone che sono state importanti per me, insieme a Zeman, il presidente Preziosi, Ballardini e ora Eusebio Di Francesco, il mio attuale mister mi ha rimesso al mondo, mi ha fatto sentire importante.
La rinascita in Provincia di Modena. “Ho voluto tornare a Genova, ma le cose erano cambiate, avevo pensato di smettere, è stata mia moglie a darmi la forza di non mollare, sono andato a bussare alla porta di Di Francesco, ha dimostrato fiducia in me, e adesso mi è tornata la voglia”.
Dietro una grande donna c’è sempre un grande uomo. “Io e Michela, mia moglie, ci siamo sposati che avevamo poco più di 20 anni. Mi ha sempre seguito e sostenuto, non ha mai interferito e ha sempre accettato tutte le mie scelte, abbiamo 4 figli. Sono una persona che porta rispetto, ho bisogno di sincerità, quella sincerità che ho trovato poche volte nel calcio. Di Francesco dice sempre che l’unica parte buona del calcio è quella dei calciatori. Io sono stato fedele al mio procuratore, con lui per 18 anni, hanno provato a strapparmi via da lui, ma io sono una persona con dei principi”.
Vivo il presente. “Adesso sono un professionista al 100%, curo i particolari, l’alimentazione, e ogni altro dettaglio: prima era diverso, avrei voluto avere io la fortuna che adesso hanno Berardi e Zaza, con un allenatore e una società che crede nei giovani e li aiuta a crescere. Se mi sento un privilegiato? Certo che lo sono, ho realizzato un sogno che avevo da bambino, ho guadagnato parecchio, e se mi guardo attorno, in questo momento difficile, la mancanza di lavoro e uno Stato che non aiuta, mi sento ancora più privilegiato. Però me lo sono guadagnato, non l’ho chiesto io, è il Signore che mi ha dato questo.
I sogni sono di colore azzurro – parte 2. “Se potevo fare di più? Io posso dare di più! Dentro mi sento forte, devo solo dimostrarlo, non voglio mollare nulla, penso anche alla Nazionale, Conte mi conosce bene, mi ha allenato ad Arezzo, la maglia azzurra è un sogno fin da piccolo.
Un futuro da calciatore. “Non so quello che farò da grande, vedo ancora parecchi anni da calciatore, ora come ora potrei pensare a una scuola calcio per bambini, ma le cose posso cambiare. Ci ho messo tutta l’anima, la passione, i sacrifici. Il fatto che possa permettere ai miei di passare una vecchiaia migliore, mi rende molto orgoglioso”.
Il gol più bello per Floro Flores? Lui dice che è stato quello con la maglia del Genoa contro il Cesena (nel video sotto), ma secondo noi il gol più bello deve ancora arrivare e sarà con la maglia del Sassuolo.
di Gaetano Pannone
intervista tratta da Il Calciatore – Assocalciatori