Il Sassuolo sta vivendo uno dei momenti più difficili degli ultimi anni in Serie A: la sconfitta interna subita in rimonta con il Genoa ha relegato Consigli e compagni ad un Natale tutt’altro che sereno. Il Sassuolo ha raccolto sedici punti in diciassette partite, gli stessi della passata stagione con lo stesso numero di gare giocate: dopo lo 0-2 con la Lazio alla 18esima giornata, il Sassuolo ha inanellato una striscia di risultati utili davvero impronosticabile, per poi arrivare a fine stagione boccheggiando ma lontano dai pericoli.
La trasferta a San Siro con il Milan sembra già pronta a regalarci una notte magica, in cui ci dimenticheremo di tutto e saremo per un’altra volta l’ammazzagrandi, la provinciale che conquista le prime pagine dei giornali. Ormai va così, no? Basta un niente per salire sul carro dei vincitori e ancora meno per scendervi. Ma l’impressione diffusa, adesso, è un’altra. Il Sassuolo che conosciamo non esiste più, ha smesso di pedalare.

Il Sassuolo ha smesso di pedalare già dalla scorsa stagione. O forse già dal 2021, quando differenze di vedute con la società hanno portato all’addio Roberto De Zerbi. Un addio pacifico ma significativo: perché ha toccato i temi delle prospettive future, delle ambizioni, degli obiettivi sul campo. La società (e la proprietà) sta percorrendo la strada della sussistenza e dei bilanci a posto: un traguardo comunque non da poco per un club calcistico, un settore in perdita verticale e che si regge a malapena in piedi. Ma come la si è raggiunta in questi anni la sussistenza? Con il tesoretto Mapei, certo, ma anche con il player trading: le plusvalenze, insomma. Nell’esercizio 2022, erano la voce più corposa a bilancio per il Sassuolo con circa 50 milioni di attivo.
E’ qui che il lato tecnico e il lato dirigenziale si fondono maggiormente, almeno qui a Sassuolo. Nessun giocatore valorizzato sul campo? Nessuna plusvalenza: a maggior ragione adesso che il Sassuolo ha alzato il tiro nel mercato in entrata, spendendo senza remore 12 milioni per Alvarez, 10 per Thorstvedt, 8 per Lipani, 7.5 per Volpato e 6 per Mulattieri, solo per fare alcuni esempi. Chi vendiamo a 25/30 milioni? Per adesso nessuno, ma potenzialmente ce ne sarebbero tanti in grado di valere quelle cifre. Non diamo per scontato che a Sassuolo i talenti nascano come funghi: dietro c’è un lavoro minuzioso, a tutti i livelli, per far sì che chi preferisce Sassuolo ad altri lidi non si penta della scelta fatta. Se questo meccanismo si inceppa, sono cavoli amari. Ma forse, i primi a dare per scontate certe cose non siamo noi tifosi.

Non siamo d’accordo con chi dice che retrocederemo in Serie B. Il Sassuolo ha una rosa troppo più forte delle concorrenti per arrivare alla 38esima giornata nelle ultime tre posizioni. Poi nel calcio può succedere di tutto e bisogna stare attenti a sentenziare così. Ma il nostro discorso è un altro. Il Sassuolo che conosciamo non esiste già più, è comunque già passato. E’ già iniziato il processo che porterà il Sassuolo ad essere una società di Serie A “come le altre”, a perdere quella patina di favola di cui ci siamo tanto fregiati in questi anni. Non ci sono più le stagioni sempre in crescendo, sempre più in alto: i proclami sono cresciuti in maniera inversamente proporzionale ai risultati e alle prestazioni. La simpatia dell’opinione pubblica si è trasformata in antipatia.
E’ un processo reversibile? Sì, a patto che lo si voglia davvero. Non si può andare avanti a tentoni, senza prendere posizione e sperando piuttosto che tutto si rimetta a posto autonomamente. Certe volte, servono decisioni drastiche per risvegliare un intero ambiente dal torpore di cui è preda. A Sassuolo non succede praticamente mai: perché ce n’è stato ben poco bisogno, vero, ma anche perché cambiare rotta può essere inteso come un’ammissione di colpe. Come se dovessimo difendere a spada tratta la nomea di società modello e che per mantenerla non siano ammessi passi falsi.
Quando si fa proprio questo concetto, diventa meno amaro accettare sconfitte come quella di ieri. Non è questione di moduli, di confronto tra Dionisi e De Zerbi, della difesa colabrodo piuttosto che dello stadio semideserto. Le cause sono più profonde e incapsulano un po’ tutto quello che ha limitato e sta limitando la crescita esponenziale del Sassuolo. Il Sassuolo ha smesso di pedalare: speriamo solo che non faccia marcia indietro e non torni sui propri passi.