Incontrare il Bologna prima della sosta è diventato sinonimo di umiliazione: finì 0-3 l’anno scorso al Mapei, all’ultima del 2021. E’ finita 3-0 ieri al Dall’Ara, prima di una lunghissima sosta Mondiale che ingloberà anche le feste natalizie, adesso che di Natale c’è poco o niente se non qualche timida luce sui balconi. C’è ben poco da essere felici e da festeggiare soprattutto in casa Sassuolo, che mette fine ad un mese da 4 punti in 7 partite e accoglie con felicità i quasi cinquanta giorni di letargo dalla Serie A. Di periodi storti a livello di risultati ne abbiamo vissuti parecchi, ma dopo una prestazione così anonima, quasi da far rimpiangere Empoli (e ce ne vuole), cascano le braccia. Da far rimpiangere sicuramente i 31 euro spesi per il biglietto nel settore ospiti, uno sproposito in primis per il triste spettacolo in campo e in secondo luogo perché biglietti di settori con eguale visibilità sono stati venduti alla metà del prezzo. Ma di questo è responsabile il Bologna.
Rimaniamo sul Sassuolo, piuttosto. Da tifosi e giornalisti, ci siamo stufati di sentire Dionisi nel post-partita dichiarare che “la responsabilità è sua” dopo qualsiasi sconfitta. Non che non sia anche sua, sia chiaro: come diceva De Zerbi, al di là del lato tecnico, le motivazioni e gli stimoli deve essere l’allenatore a tirarli fuori, in mancanza di pressioni date dall’ambiente. E questa squadra, più che come valore in campo, manca proprio nella cattiveria, nella grinta, nell’arrivare per prima sulle seconde palle, nei corpo a corpo. Gli errori tecnici sono una naturale conseguenza.

Per non parlare poi della moltiplicazione degli alibi: se la squadra non segna è perché sono andati via Scamacca e Raspadori, e se il loro sostituto Pinamonti non segna è perché manca il miglior assistman, una volta tornato a disposizione (a mezzo servizio come Traorè, ci sta e si vede) è tutta la squadra ad avere avuto un calo fisico. Nessuno vuole togliere la palma di leader tecnico a Berardi, ma la rosa è sufficientemente profonda per sopperire anche agli infortuni: non siamo più il Sassuolo da 11 titolari più 2/3 riserve.
Non solo: l’impressione generale è che il Sassuolo si stia crogiolando sugli allori di un gruppo composto da ottime individualità, e che bastino quelle alla lunga per ottenere il risultato minimo in vista della partenza verso altri lidi. Stiamo giocando con quella spocchia e con quella puzza sotto il naso lì. Questo è un concetto che travalica gli allenatori e i giocatori, è un’impostazione societaria che ha portato indubbiamente tanti benefici, economici e non solo, ma che ha anche questo effetto collaterale: chi arriva a Sassuolo, non lo fa per restarci. Per tamponare questa disaffezione, non basta abbandonare la politica de “la salvezza prima di tutto” abbracciando quella de “L’Europa? Perché no?”. Al Bologna è bastato mettersi in campo in maniera organizzata e sfruttare i nostri errori. Dominando, senza bisogno di dominarci.

Lo si è visto bene ieri, a fine partita, quando la curva ha chiamato a raccolta la squadra sotto lo spicchio riservato al tifo neroverde. Un manipolo di dieci giocatori, tra cui capitan Ferrari, si è spinto fino ai tabelloni di bordo campo, applaudendo, prima di ritornare negli spogliatoi per direttissima. Ma nessuno in curva stava applaudendo. In un calcio sempre più ingessato, ormai queste reazioni da automa fanno sempre meno effetto. Figuriamoci a Sassuolo, dove nelle difficoltà ci si è sempre barricati dietro al silenzio più completo. Badate bene: la curva ha incitato la squadra fino al 3-0, noncurante dei palloni raccolti dal sacco uno dietro l’altro, e soltanto a partita compromessa ha lasciato partire due cori sulla prestazione. Uno più ironico – “Ma quando vinciamo?” – un altro dritto al punto ma altrettanto inevitabile: “Tirate fuori i coglioni!”. Pur rimanendo scettici sugli effetti tangibili di una eventuale strigliata sotto lo spicchio, far finta che il mondo fuori dal Mapei Football Center non esista non può che portare ad un vicolo cieco. Lo abbiamo già imboccato.