articolo di Giovanni Pio Marenna
Con una giornata di anticipo, si laurea campione d’inverno l’Inter di Simone Inzaghi. Non che chi entra papa, soprattutto in questa stagione, è detto automaticamente che lo rimanga anche. Certo che, però, negli ultimi 30 giorni gli equilibri, in termini di punti fatti e persi, si sono letteralmente ribaltati. Milan e Napoli, che sembravano tenere ancora a lungo il passo nel loro personale duello, hanno visto sbriciolate alcune certezze sia per una lucidità tattica diventata col tempo più opaca e stanca (il Milan di gran lunga più del Napoli), sia anche per una lista infortunati che s’è allungata (il Milan in verità dall’inizio del campionato, il Napoli ne ha persi troppi tutti insieme e nello stesso momento).
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E che le difficoltà del Milan siano state superiori, lo dimostra il fatto che il Napoli a San Siro ha portato avanti una partita solida e ordinata, manovale e faticata, gestendo il possesso palla con un’eleganza operaia fuori dal comune. Una personalità che ha schiacciato tatticamente il Milan, che pur avendo maggiormente il pallino del gioco non ha trovato molti spazi in cui inserirsi. Se non negli ultimi 10 minuti, ma non trovando il pareggio (se non nel finale, in occasione del gol controversamente annullato, a termini di regolamento, a Kessie). Una generosità nella prestazione soprattutto di chi gioca abitualmente meno degli altri, ma s’è fatto trovare ugualmente presente al proprio presente in campo. Una menzione sopra tutti la meritano senz’altro gli straordinari Zielinski e Jesus, i determinanti Rrhamani e Zielinski e i “sacrificati” Lozano e Petagna.
Ma “sacrificato”, che richiama al “sacrificio”, non leggiamola come una parola negativa e pesante da evitare. Anzi, essa richiama la nostra attenzione al compimento di un’azione sacra. Viene quindi celebrato un qualcosa di unico, importante e prezioso. Proprio come i 3 punti portati via da Milano, che consentono al Napoli di riagganciare i rossoneri al secondo posto.
Scivolano 3 punti invece all’Atalanta, sconfitta in casa dalla Roma di Mourinho. Bergamaschi celebrati troppo in fretta in maniera esagerata? No, per niente. Parliamo di uno scontro diretto per la Champions contro una squadra, quella giallorossa, dedita alla rapidità, votata agli inserimenti in contropiede spazi non proprio usuali (vedi primo gol di Abraham e il gol su palla inattiva di Smalling) o dilatati (vedi l’intera costruzione del gol di Zaniolo) e “al diavolo!” l’equilibrio. Uno scontro diretto dove la squadra di Gasperini ha succhiato tutto il sangue ai romani sul possesso palla, arrivando a sfiorare il 90% nella precisione dello stesso.
Risultato non solo inaspettato, ma sproporzionato rispetto a quanto visto. Rimproverare qualcosa ai nerazzurri di Bergamo, seppur seppelliti da una valanga di gol e da una Roma che ha saputo colpire, significa leggere parzialmente la realtà. E la realtà fotografa l’Atalanta a 2 punti da Napoli e Milan e 6 dall’Inter. E, sempre a proposito delle distanze da colmare in classifica, escluse le prime 4 regine, tra la Roma quinta e il Verona tredicesimo (sconfitto in 10 da un Torino ben strutturato sulla scacchiera) ci sono solo 8 punti di distanza. Ci sarà ancora da divertirsi….
