Una vita al Sassuolo Calcio, prima da giocatore per 5 anni e poi da allenatore per altri 8: parliamo di Filippo Pensalfini, che ieri ha lasciato ufficialmente la piazza neroverde al termine naturale del contratto. Contattiamo Filippo dalla sua Cattolica, dove sta passando le vacanze con la famiglia, per parlare del Sassuolo e della sua carriera di allenatore, tra passato, presente e futuro.
Siamo partiti proprio dalla scelta di lasciare Sassuolo: “A Sassuolo ho passato degli anni bellissimi di settore giovanile, ben otto con Stefano Fattori prima e Francesco Palmieri poi. Qui lascio tanto: Sassuolo è la mia seconda casa. Lascio tanti amici, ma sono sicuro che non li perderò mai perché le persone a cui voglio bene ci sono e rimarranno. A livello lavorativo, ringrazio di cuore la società, il Direttore Francesco Palmieri che mi ha migliorato molto, mi ha insegnato cose che nel mondo del calcio ritorneranno sicuramente. Sono una persona che dopo un po’ deve cambiare. Il mio sogno personale era allenare la Primavera: questo sogno non si è avverato, anche se professionalmente mi sono divertito ad allenare i ragazzi più piccoli. Ovviamente il motivo non è solo questo: io sono un ambizioso, dopo tanti anni qui c’era lo stimolo di provare qualcos’altro, di farsi conoscere e di prendere qualcosa da altre persone. Ho sempre dato il massimo e non mi piace parlare di scelta premeditata, anche se l’idea mi è sorta già nel corso dell’ultima stagione. Non buona a livello di risultati, ma sono sicuro di aver lasciato qualcosa – a livello umano e tecnico-tattico – che i ragazzi ritroveranno nel prosieguo della carriera”.
In ambito di settore giovanile, un campo minato in cui è doveroso entrare in punta di piedi, si parla spesso della dicotomia tra crescita dei ragazzi e ricerca del risultato: “Sono cresciuto nel settore giovanile del Cesena che, fin dai miei tempi, era incentrato sul ragazzo: da giocatore questa cosa la sentivo – esordisce Pensalfini. Mi sono portato dietro questo concetto fino ad oggi e lo trasmetterò sempre: i risultati sono importanti, ma al centro del progetto ci sono i ragazzi. La vittoria più grande è vedere un ragazzo crescere, migliorare e che ha riconoscenza per il tuo contributo: sono queste le cose che mi danno la forza per continuare ad allenare, è la mia consapevolezza al di là delle competenze. Un ragazzo che sfonda nel calcio ha indubbiamente gran parte dei meriti, ma dietro c’è anche il lavoro di chi lo ha aiutato, dalla società agli allenatori”.
Sotto l’ala di Pensalfini sono passate intere generazioni di giocatori del Sassuolo, partendo da Adjapong e Raspadori: “Allenare dei ragazzi con talento è bello e anche facile sotto certi aspetti. Prendo ad esempio Raspadori, che ha vinto l’Europeo: cavolo, è una soddisfazione immensa! Poi Giacomo è un ragazzo ineccepibile, caratterialmente parlando. Ma voglio fare un altro esempio, che è ancora più rappresentativo: Christian Aucelli. Non parlo a livello personale, ma aver creduto in Aucelli quando era più indietro fisicamente ha pagato: noi allenatori diamo opportunità, sta al giocatore sfruttarle e lui l’ha fatto. Me lo ricordo all’inizio dell’Under 18 che faceva fatica, poi ha conquistato il posto ed adesso è sbocciato. In questo il Direttore Palmieri è bravissimo, perché prende dei ragazzi e non li vuole mai perdere, ci crede e di sicuro qualcuno spicca il volo. A me è il dettaglio che dà soddisfazione, soprattutto se so che ci abbiamo lavorato assieme”.
E un’altra delle soddisfazioni che un allenatore di settore giovanile si porta dietro è il feedback, a distanza di anni, degli stessi ragazzi: “A livello umano i ragazzi bisogna conoscerli: io forse li voglio conoscere anche troppo perché in alcuni casi sono impenetrabili. A quel punto, non ti resta che allenarli e basta ed è ancora più difficile, ma è tutta esperienza che accumuli per il futuro. Quando però arrivano messaggi e chiamate, vuol dire che hanno capito la persona prima del mister: ma anche chi non mi ha più cercato credo sappia che persona sono. Mi dichiaro sempre ai ragazzi, sono diretto e gli dico che nei primi tempi potrebbero anche rimanerci male: magari all’inizio mi odiano, però a distanza di tempo ho dei riscontri dagli stessi ragazzi, e sono tanti”.
E’ un addio o un arrivederci, con il Sassuolo?: “Di questi tempi non si parla mai di veri e propri addii. Le cose cambiano velocemente e nel calcio può succedere di tutto. A Sassuolo sono legato, in questo momento ho bisogno di cambiare ma per il futuro non so dare una risposta. Futuro immediato? Spiego come stanno le cose: ho avuto due proposte come collaboratore tecnico in prima squadra, da una società di Serie B e da una di Serie C. Non sono andate in porto sfortunatamente, ci tenevo tanto ad avere un’esperienza del genere. Ho avuto anche due richieste da due settori giovanili: settimana prossima dovrei concludere l’accordo. Mi piace fare questo lavoro, stare in campo. Interessamento di De Zerbi per lo Shakhtar? Secondo me mi hanno associato a lui perché sono molto amico con Paolo Bianco: stimo tanto De Zerbi ma non mi ha mai chiesto niente. L’anno in cui c’era De Zerbi l’ho studiato, l’ho guardato molto ma non c’è stato assolutamente alcun contatto”.
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Pensalfini è arrivato a Sassuolo nel 2004, un anno prima di Francesco Magnanelli: come sappiamo, il Puma si è appena ritirato dal calcio giocato. Pensalfini ci racconta cos’è stato Magnanelli in quel quadriennio condiviso a Sassuolo: “Magna ripete spesso di avere avuto la fortuna di aver trovato delle persone che gli hanno dato tanto, sia in società che nello spogliatoio: è una cosa in cui crede molto. Quando è arrivato, ha trovato un gruppo esperto che trasmetteva passione e voglia di lavorare, di sacrificarsi e di dare il massimo. La realtà di Sassuolo non è facile perché gli stimoli li devi trovare, non hai grandi pressioni e competere non è semplice. Noi della vecchia guardia gli abbiamo trasmesso queste doti, ma lui le aveva già dentro e le ha coltivate: questo è Magnanelli, è una persona di spogliatoio, di grandi valori umani, oltre ad essere un grande giocatore. In campo eravamo molto affiatati, già da giovane si vedeva che poteva diventare un leader e lui l’ha capito. Noi lo abbiamo spronato per aiutare a tirare fuori la personalità: lui è stato bravo a non perdere l’umiltà. E’ facile cadere nella presunzione e il connubio tra umiltà e personalità gli ha fatto fare il salto, secondo me”.
Sulla piazza di Sassuolo e sulla pressione del Patron Squinzi: “La sua era una pressione positiva: ho passato degli anni stupendi a Sassuolo perché da giocatore abbiamo solo lottato per vincere, non ci sono mai stati dei veri e propri momenti di difficoltà. Ho avuto la fortuna di giocare in piazze calde con tifosi che vogliono la loro parte, anche fuori dallo stadio: a Sassuolo questa cosa non la senti. Questione tifo? La società ha fatto dei passi da gigante e continuerà a farne perché ha una proprietà potente e seria dietro e chi è al comando non vuole fermarsi. Di tifosi sassolesi ce ne sono ma parliamo di una realtà piccola: è difficile coinvolgere altre persone, anche perché non c’è ancora molta storia ad alti livelli dietro al club. Mi auguro sinceramente che possa migliorare, quei tifosi che ci sono provano a farsi sentire. Già il fatto di confermarsi in Serie A per tanti anni, con le nuove generazioni che vengono su con il Sassuolo stabilmente in questa categoria, può essere un fattore che aiuta”.
“In chiusura, ci tengo a ringraziare tutta la società, il Direttore Francesco Palmieri, tutti coloro che hanno lavorato per il club in questi anni comprese le persone che ci sono state vicine nelle varie strutture di allenamento. Forza Sasol!”.
Ringraziamo Filippo Pensalfini per la disponibilità e la cordialità dimostrate non soltanto nel corso dell’intervista odierna, ma in tutto il triennio in cui abbiamo collaborato. In bocca al lupo mister!