giovedì , 12 Settembre 2024
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foto: sassuolocalcio.it

Il Sassuolo è retrocesso perché: cosa c’è dietro una stagione fallimentare

Il Sassuolo è retrocesso in Serie B. Il punto più basso degli undici anni in massima serie, per i neroverdi, è sfortunatamente coinciso con il ritorno in cadetteria. In realtà, la sfortuna c’entra ben poco, in un campionato di 38 partite (ne sono bastate 37, per scendere giù). C’entrano invece tanti errori dirigenziali, che si sono riflettuti sul lato tecnico; tante superficialità, mancanza di prese di posizione. Tanti dettagli lasciati al caso, in una società che ha sempre fatto della programmazione il proprio fiore all’occhiello. Ci sta, può succedere: questo però non può esimerci dal raccontarvi il fallimento del Sassuolo 2023/2024.

Chi troppo vuole, nulla stringe

La malasorte della stagione 2023/2024 è iniziata ad agosto sul palco del Piazzale della Rosa, alla presentazione della squadra e della maglia: mentre Carnevali parlava d’Europa, in un universo differente da quello della lotta salvezza che mai avrebbe pensato di dover prendere in considerazione, Berardi reclamava per l’ennesima volta di essere lasciato andare. Un po’ come aveva fatto dodici mesi prima, in un contesto se vogliamo ancor meno adatto come quello del Magnanelli Day. La piazza di Sassuolo è sempre stata di bocca buona, abituata a salire sempre più in alto e a non guardarsi indietro: Carnevali ci ha dato quello che volevamo sentirci dire.

Una rosa scarsa? Vediamoci chiaro

Non siamo completamente d’accordo con chi affibbia le colpe della retrocessione alla pochezza tecnica della rosa. Da quando ha preso posto nelle zone nobili del calcio italiano, il Sassuolo non ha mai iniziato una stagione con una rosa più quotata di quella che ha chiuso il campionato precedente. Si prende a poco, si valorizza, si rivende a tanto: questa cosa ma in loop a cadenza annuale, per anni. Possiamo essere d’accordo o meno con questa condotta: come redazione, abbiamo spesso criticato le plusvalenze come metodo principale, se non unico, per far tornare i bilanci. Ci dev’essere quantomeno un piano B: ma qui, di B, sembra ci sia solo qualcos’altro. Tuttavia, è innegabile che è su queste basi che il Sassuolo si sia crogiolato. Anche noi tifosi, quasi come se quei soldi entrassero nel nostro portafoglio.

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foto: Gaetano Pannone – Canale Sassuolo

Poi succede la stagione storta e la priorità non è più la valorizzazione dei giocatori, ma il mantenere la categoria (o la panchina, nel caso di Dionisi). Non c’è più la serenità per far sbocciare i talenti o presunti tali, arrivati in massa. Per assurdo, negli ultimi anni il Sassuolo ha investito molti più soldi rispetto alle stagioni precedenti: non è però facile discernere tra acquisti giusti e sbagliati, in un mondo dove basta andare in prestito nella squadra sbagliata e nessuno parla più di te (vi ricordate ancora di Luca Moro?), oppure sali alla ribalta quasi per caso solo perché si infortuna il compagno di reparto titolare. Nel calcio, la sorte riveste un ruolo importante ed è poco corretto bollare a priori questo o quell’acquisto come fallimento. Non è però neanche corretto difendere a priori una dirigenza solo perché in passato ha chiuso dei buoni affari: sarebbe come difendere un premio Nobel anche quando inizia a sbarellare.

Venuta a mancare la valorizzazione dei giocatori – dunque degli investimenti – a crollare non è stato solo il lato tecnico ma anche quello dirigenziale, che ha funzionato finché c’è stata comunione di intenti con la guida tecnica. Se Dionisi fosse stato ascoltato quando ha iniziato a chiedere a gran voce qualche acquisto esperto, o anche quando tuonava sull’impegno e l’attaccamento alla maglia dopo un’innocua amichevole estiva con lo Spezia; se insomma la rosa fosse stata costruita in maniera organica e non a mo’ di videogioco, magari adesso staremmo parlando di una stagione diversa. O magari no, chi lo sa. Quello che ha portato alla retrocessione del Sassuolo, ne siamo sicuri, non è un processo iniziato nell’ultimo anno solare.

Una rosa di protagonisti? Sì e no…

Nonostante lo spettro della retrocessione si sia ormai concretizzato, una domanda sorge spontanea guardando la rosa del Sassuolo 2023/2024: quanti dei giocatori che sono meritatamente retrocessi in Serie B, resteranno effettivamente in Serie B? Si contano sulle dita di una mano. Magari un Defrel, o un Obiang, o anche un Mulattieri in cerca di riscatto in Serie B: ma la maggior parte avrà mercato a prezzo di saldo (Thorstvedt, Pinamonti, Laurienté, Boloca e un’altra decina abbondante di giocatori), non verrà riscattato dai rispettivi prestiti (Pedersen, Cragno, Viti, Kumbulla) o ne approfitterà per salutare il Distretto con il favore delle tenebre, come i senatori Consigli, Pegolo e Ferrari, tutti in scadenza al 30 giugno. Senatori che, dopo Sassuolo-Cagliari 0-2, si sono rifiutati di togliersi la maglia alla richiesta degli ultras. Per non parlare dei giovani che hanno visto il campo con il contagocce, come Missori, Volpato o Lipani: accetteranno di restare ad occhi chiusi in Serie B, o resteranno in attesa di una chiamata dalla Serie A fino al 30 agosto?

Dove vogliamo arrivare con questo discorso? Il Sassuolo è una squadra composta da un’accozzaglia di buoni giocatori, presi singolarmente, che ha ingannato tutti – noi inclusi – di poter rivestire il ruolo del solito Sassuolo da metà classifica. Non avete letto male: noi siamo convinti che la rosa del Sassuolo sia composta da buoni giocatori. E siamo ancor più convinti che i suddetti giocatori potranno continuare la carriera senza l’etichetta di “gioiello made in Sassuolo” affibbiata a molti colleghi negli scorsi anni, con annesso prezzo del cartellino sensibilmente inferiore. Tutto sommato, è anche nell’interesse degli stessi calciatori andare via in sordina e non schiaffati in prima pagina sulla Gazzetta.

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Possiamo vedere il Sassuolo come un tappeto elastico: fintanto che è usato da una o due persone, queste riescono a saltare in alto, a spiccare il volo. Quando però tutti vogliono salire sul tappeto, si danno fastidio a vicenda, nessuno salta più. E magari il tappeto si rompe pure.

Chiariamoci: la colpa qui non è dei giocatori, al massimo lo è in piccola parte. Se c’è qualcuno che ha voluto che il Sassuolo fosse un tappeto elastico, di certo non è stato Tizio o Caio, ma la società con un disegno ben preciso. Ed è la società che deve gestire il materiale umano, che deve mettere in preventivo ogni possibile inconveniente. Potremmo scaricare la colpa sui giocatori, sul mancato impegno come sintomo di poca professionalità: quando si entra in questo campo, troveremmo terreno fertile nell’opinione pubblica. La verità è che una società seria deve considerare anche questi aspetti, deve costruire una squadra in modo tale che non si arrivi mai a questi punti di non ritorno. Com’è che nel Bologna ci sono solo professionisti modello, mentre nel Sassuolo solo gente svogliata? E non veniteci a dire che il Dall’Ara è pieno e il Mapei Stadium è vuoto. Saremmo retrocessi ben prima, fosse per questo.

editoriale sassuolo fallimento
foto: sassuolocalcio.it

Sassuolo, qualcosa da riparare c’era

Salvo il primo anno in Serie A, il Sassuolo non ha mai compiuto grosse operazioni a gennaio perché il Sassuolo non è come le altre squadre: la rosa la costruisce bene in estate. Chi lavora molto durante la finestra di riparazione è perché non si è organizzato bene prima. E’ un po’ con questa convinzione che il Sassuolo si è approcciato all’ultima sessione di mercato invernale, dove ha acquistato Josh Doig (sarebbe arrivato ugualmente senza l’addio improvviso di Vina?) e Marash Kumbulla in prestito (alla Roma serviva uno slot per l’arrivo di Angelino). E basta. Tanto basta infilare qualche vittoria di fila come l’anno scorso e tanti saluti alla zona retrocessione, no?

Sassuolo: dopo Magnanelli, il vuoto

Francesco Magnanelli ha fatto la storia del Sassuolo ed è stato giustamente omaggiato al Ricci con il Magnanelli Day, a luglio di due anni fa. Forse però la società ha sottovalutato la sua importanza, e anche quella di Federico Peluso, giusto per fare un altro nome, nelle economie dello spogliatoio. Uno spogliatoio che nel corso degli anni si è sempre più frammentato, anche a causa dell’arrivo sempre più massiccio di giocatori di diverse nazionalità, con abitudini di vita diverse e un amalgama che, per quello che ci è permesso sapere dall’esterno della teca di cristallo, non si è affatto percepito, non solo in campo ma anche fuori. L’unico punto in comune, se vogliamo, è quello di sbocciare, di arrivare. Non vuole essere un discorso populistico, ma per anni abbiamo incensato il Sassuolo del made in Italy, del blocco a tinte tricolori: nello spogliatoio vigono delle dinamiche che non puoi calare dall’alto con la forza, né puoi sperare che si innestino casualmente. Si ritorna al discorso della gestione del materiale umano.

Magnanelli Day
foto: sassuolocalcio.it

L’assenza di Berardi

Non è un alibi ma una semplice constatazione: chi giudica il contributo di Domenico Berardi solo in base ai numeri (ottimi) di gol e assist, è fuori strada. Quando c’è Berardi, tutti i compagni sanno di essere in campo insieme ad un campione di livello assoluto e si caricano, si convincono di aver fatto bene a scegliere Sassuolo come meta della propria carriera. Vogliamo pensare anche che si impegnino di più per non sfigurare al suo cospetto, per quanto quello di Berardi non sia un profilo che giudica, o che sbuffa se il compagno sbaglia. Quante ne avrà viste e tollerate negli anni…

Leggi anche > GRAZIE SASSUOLO, ABBIAMO TOCCATO IL CIELO CON UN DITO

Ma Berardi per il Sassuolo è croce e delizia: ne è l’indiscusso leader tecnico, per anni ne ha nascosto molte lacune dell’organico, ma è anche l’uomo che fuori dal campo non ha mai perso occasione per guardarsi altrove. Beninteso: se c’è un giocatore che può reclamare un aumento di stipendio o una partenza, quello è Berardi. Ma se un giocatore così importante, in un momento così importante, preferisce una pedalata a Serramazzoni o la Formula 1 ad Imola (tutto legittimo, ci mancherebbe), è inevitabile che il resto della squadra ne sia influenzato in negativo e si senta “legittimato” a gettare la spugna. Inutile dire che siamo d’accordo con la scelta di affidargli la fascia da capitano, nonostante sia per distacco il giocatore più longevo che il Sassuolo ha in rosa.

Per quanto abbiamo spesso appoggiato la società nelle rigide valutazioni di mercato, con Berardi si è calcato troppo la mano. Si è giocato con il fuoco, e se ne sono pagate le conseguenze. Nonostante un contratto in essere fino al 2027 e un infortunio al tendine d’Achille da smaltire, l’avventura di Berardi è terminata con ogni probabilità al Bentegodi, il 3 marzo scorso: non è facile, ma bisogna iniziare ad immaginare un Sassuolo senza Domenico Berardi. Bisognava farlo già da qualche anno, a dire il vero.

Domenico Berardi
foto: sassuolocalcio.it

Sassuolo: il tema allenatore

Basta tornare a tempi non troppo lontani per ricordare che raramente il tifoso medio del Sassuolo si mostra soddisfatto della guida tecnica della squadra. Per molto tempo sono fioccati i #DeZerbiout, per non parlare dei #Dionisiout. Nel primo caso il tecnico bresciano, oltre a due ottavi posti consecutivi, ha anche portato il record di punti in Serie A con un calcio spregiudicato ma assolutamente in linea con la natura della squadra neroverde. Meno fortuna ha avuto invece Dionisi, capace comunque lo scorso anno di rendere la squadra protagonista di un buonissimo girone di ritorno.

Il tardivo esonero di Dionisi è espressione di quanto dicevamo sopra riguardo al mercato di riparazione: cambiare in corsa vuol dire ammettere i propri errori, e il Sassuolo non può permettersi di sporcarsi la nomea di esempio imprenditoriale. Successe la stessa cosa con Cristian Bucchi, seppure Iachini riuscì a traghettare la squadra fino alla salvezza.

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foto: sassuolocalcio.it

L’arrivo di Ballardini è stato salutato da alcuni, anche nella nostra Redazione, come salvifico in funzione dell’indubbia esperienza e della serenità che il mister sembrava essere in grado di trasferire al gruppo, pur riconoscendo all’uscente Dionisi responsabilità minoritarie. Alla prova dei fatti e al di là del risultato sportivo comunque non semplice da raggiungere già al momento dell’arrivo dell’ex Cremonese, il nuovo staff tecnico non è riuscito a trasmettere quella coesione fondamentale per giocare tutte le carte possibili per centrare un’insperata salvezza. Spiace anche che i soli giocatori si siano presentati al cospetto dei tifosi presenti in curva e che non siano stati affiancati da chi ha guidato la squadra in questi ultimi giri in giostra.

Beninteso: non siamo qui a fare le vedove di Dionisi. C’era bisogno di un cambio di guida tecnica e quello di Ballardini era probabilmente il profilo più adatto, a maggior ragione in un periodo dove molte squadre hanno cambiato allenatore. Va però riconosciuto al tecnico toscano che allenare un Sassuolo costruito male, in crisi di risultati e di identità può essere un’impresa titanica anche per gli specialisti della motivazione: i problemi principali stanno a monte.

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E ora chi guiderà il Sassuolo in Serie B? Presto per sbilanciarsi, ma dalla scelta della guida tecnica molto si potrà intuire circa le ambizioni dell’armata neroverde, che dopo molti anni si troverà a misurarsi con un campionato tutt’altro che semplice e decisamente scivoloso anche per squadre ben più blasonate: i recenti casi Spezia e Sampdoria, per non parlare poi di Carpi, Spal e Crotone, sono lì a dimostrarcelo.

Le annate a vuoto ci possono stare, anche per una società seria con una proprietà solida alle spalle, come il Sassuolo. In attesa di capire da chi sarà composta la società che pianificherà la stagione 2024/25 – con annesso obiettivo promozione, vogliamo sperare – bisogna fare tesoro degli errori commessi. Senza giustificazioni e senza armadi dentro cui nascondere i propri scheletri.

 

 
 
 
 
 
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