lunedì , 16 Settembre 2024
daniel boloca sassuolo
Foto: sassuolocalcio.it

Daniel Boloca si racconta: “Mi sento italiano, sbagliai ad accettare la convocazione della Romania”

Daniel Boloca si è raccontato con una lunghissima lettera aperta a Cronache di Spogliatoio (qui in versione integrale), che comincia con un bellissimo messaggio: “Mi chiamo Daniel Boloca e tre anni fa giocavo in Serie D. Oggi sono in Serie A e ho appena segnato il mio primo gol“.

Poi parla dell’infanzia, vissuta insieme a un altro ragazzo poi diventato calciatore della Serie A, Federico Gatti: “A fine settembre ci siamo ritrovati in Serie A, e ho vinto io. Sembra incredibile, ma la nostra è una storia che parte da lontano, dai Pulcini del Torino. Poi io sono andato alla Juventus e lui ha iniziato il suo percorso. Ci siamo persino affrontati in Serie D, in un Verbania-Fossano. E poi ci siamo ritrovati a Frosinone. Perché sono qui a raccontarvi la mia storia? Ve lo spiego con le parole di mister Dionisi, dopo la partita contro l’Inter: «Noi veniamo dal basso e non possiamo permetterci di mollare». Chi altro avrei potuto abbracciare, se non lui, dopo il mio primo gol in Serie A“.

Poi ha raccontato di quando la Juventus lo ha scartato: “dopo 6 anni, mi hanno comunicato che non mi avrebbero confermato, non l’ho presa male. Me l’aspettavo, ne ero consapevole. Già nell’ultima stagione mi avevano spedito in prestito al Chieri, nella squadra della mia città. Ed è stato bello, perché sono molto legato al mio quartiere. Si chiama «Maddalene». Lì ci sono tutti i miei amici. C’è un campetto. Prima era rosso, da basket. Con le crepe nel cemento e la parte centrale dove il colore era più consumato. Le porte erano i triangoli in ferro che sorreggevano i canestri. Sono andato dal Sindaco e gli ho proposto di rifarlo, in sintetico, e di ristrutturare la pista di bocce abbandonata per fare un campo da basket. Almeno ognuno potrà avere il suo spazio. Questa estate sono tornato per la prima volta da calciatore in Serie A, dopo la promozione. Mi avevano invitato ad assistere a uno dei tornei estivi. Così mi sono detto: «Perché non faccio finalmente qualcosa per il mio quartiere e ne creo uno anche io?». A inizio luglio ho radunato 8 squadre, e ho deciso di mettere tutto a spese mie. Si è giocato nel campetto in cemento su cui sono cresciuto. Ho messo in palio magliette, premi, cibo, giornate in piscina. Al miglior portiere ho regalato una maglietta di Turati: solo che mi dispiaceva chiederla a Stefano, così sono andato direttamente allo store e me la sono comprata“.

Il legame con il quartiere è fortissimo: “Voglio che a «Maddalene» i bambini abbiano le stesse opportunità che ho avuto io. Che vedendo me, partito da quel campetto e arrivato in Serie A, possano avere un’ispirazione e non mollare mai. Credere che possono farcela. In Serie D ne ho visti tanti di giocatori forti. Anche più forti di me, fuori categoria. Ma serve la mentalità per fare il salto. Il calcio dev’essere una priorità, non un hobby. Dev’esserci soltanto il campo“.

Poi la Slovacchia: “Il mio procuratore dell’epoca iniziò a chiamare e trovarmi dei provini. Scelsi di andare in Repubblica Ceca, allo Slovan Liberec. Mi inserirono nella loro Under-21 in prova. Feci anche l’esordio con loro, perché nel regolamento puoi fare 2 partite giovanili anche senza contratto. Anche qui, mi ripeterono: «Non ti prendiamo, fisicamente non sei pronto». Non li aveva convinti la mia forza. Mi avevano fatto molti test, e se proprio avessero dovuto prendere uno straniero, lo avrebbero voluto già pronto. Un’altra occasione si presentò appunto in Slovacchia. Non conoscevo la lingua, parlavo poco anche l’inglese. La società quindi mi affiancò un insegnante. Vivevo con altri 15 ragazzi in convitto: era una casa gigante con varie stanze. Ognuno aveva età diverse, provenienze diverse. Camminavamo per un chilometro ogni pranzo e ogni cena, per raggiungere il ristorante convenzionato. Piano piano iniziai a integrarmi parlando l’inglese. Addirittura, negli ultimi 5 minuti della stagione feci pure l’esordio in Prima Squadra, il mio esordio tra i professionisti: prendemmo 4 gol dal Trenčín. Quella, però, non era la mia strada. Se avessi continuato in Slovacchia, sarei uscito dai radar. Dovevo tornare in Italia“.

Quindi la Serie D: “Faccio un provino con la Romanese, in Lombardia. Dopo una settimana, mi prendono. Ma anche qui ero arrivato tardi, a settembre. Ogni volta, mi mancava sempre la preparazione perché trovavo squadra all’ultimo. Già il mio fisico non era all’altezza, figuriamoci senza aver fatto il ritiro. E poi dalla Slovacchia non arrivava il tesseramento, nonostante avessi firmato un contratto amatoriale. Il via libera ci fu soltanto a febbraio: esordii segnando. L’anno dopo ero di nuovo in cerca di una squadra. Il tempo correva: avevo 20 anni e andai alla Pro Sesto. Non andavo neanche in panchina! Forse ne ho fatta una, massimo due. L’opportunità me la sono data in Abruzzo, a Francavilla. Dopo tre giorni in prova, decidono di tesserarmi. A volte ero titolare, altre subentravo. Insomma: avevo capito che io in quella categoria potevo starci. Io la Serie D potevo farla. La svolta della mia carriera è arrivata però… grazie a un calcetto. Nel 2019 mi avevano chiamato per una partitella ed era presente anche Riccardo Romani, capitano del Fossano. Appena mi vide, chiamò il suo allenatore Fabrizio Viassi chiedendo di prendermi. Come Berardi, anche Mimmo è stato scoperto in un calcetto! Da quel preciso istante, è andato finalmente (quasi) tutto in discesa“.

Da lì nasce il legame con Guido Angelozzi, prima allo Spezia con un pre-contratto che non si concretizza per il cambio di società della squadra ligure, poi al Frosinone, in serie B, dove fa benissimo soprattutto con Fabio Grosso, grazie al quale vince il campionato: “In quei mesi, arrivò una chiamata particolare. La mia prima chiamata in Nazionale. Era la Romania: i miei genitori sono nati lì e sono arrivati in Italia da extracomunitari. Non avrei mai pensato che una Nazionale potesse convocarmi. È stata una sensazione bellissima per i miei. Io non ero sicurissimo, avevo dei dubbi. Mi ero confrontato con loro: «Non parlo la lingua, in casa utilizziamo sempre l’italiano e al massimo voi mettete qualche parola in rumeno, capisco quando parlate ma… boh… sono nato qui…». Era un’occasione unica e loro erano troppo contenti. Così ho accettato. Quando sono arrivato in Romania, mi sono reso conto dell’errore. Non capivo niente! Parlavano velocissimo, mi ritrovavo a pranzo o a cena con i giocatori che provavano a integrarmi, e io che sorridevo e annuivo come uno stupido. Ero davvero in difficoltà“.

Ma poi le cose cambiano: “Un mese dopo, ci fu la chiamata dell’Italia per uno stage in cui il ct Roberto Mancini voleva valutare alcuni giovani e calciatori di Serie B. Ero al settimo cielo, accettai e capii quale sarebbe stato il mio destino. Quando la convocazione venne notificata, mi chiamò la Romania per sapere quali fossero le mie intenzioni: «Sarò onesto con voi. Vi ringrazio, perché mi avete trattato in modo squisito, ma mi sento italiano. Mi avete dato tanto, senza farmi mancare niente. Ma non me la sento. È stato un gran momento di famiglia, ma per rispetto vostro devo dirvi che non è ciò che voglio». Con il senno di poi, ho sbagliato ad accettare quella convocazione. Ero completamente fuori strada. Ma non potevo saperlo prima. Se vai in Nazionale, devi farlo con il cuore. E per quanto gli fossi grato, non era quello il caso“.

 

 
 
 
 
 
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Una grandissima storia di riscatto, la sua: “Quando ero a Frosinone, in un’intervista avevo detto che il mio sogno sarebbe stato giocare a San Siro contro l’Inter. A settembre, l’ho realizzato. Dopo la partita, mister Dionisi mi ha battuto il cinque: «Noi veniamo dal basso e non possiamo mollare mai. Dobbiamo confermarci, perché è un attimo fare l’ascensore. Per l’atteggiamento che hai, non ho timori». Per questo, appena ho segnato il mio primo gol in Serie A, sono corso ad abbracciarlo“.

Foto: sassuolocalcio.it

Riguardo Giuseppe Guarino

Giornalista beneventano ma neroverde, mancino e grafomane. Sempre attento a tutto ciò che gli cambia attorno, ma con leggerezza. Prova a dare la sua visione sul mondo del Sassuolo

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